Perché agosto in città?
Non è il primo della mia vita e credo proprio non sarà l'ultimo... però quest'anno, dopo tutto il viaggiare dei mesi precedenti, accuso di più la condizione di staticità.
E allora, quasi sadicamente, mi infilo nella staticità come a volerne tastare i limiti.
Poche passeggiate, magari giusto per comprare frutta e pomodori al mercato. Per il resto, me ne sto a casa.
E scrivo (...!).
E leggo.
Nell'ultima settimana ho letto un libro al giorno. Le biblioteche sono chiuse, quindi ho affrontato quei libri che mai ero riuscita a leggere prima; ho riletto libri già letti; ho comprato autori italiani a me sconosciuti e pubblicati negli ultimi tre anni.
Sono un po' delusa, ad essere sincera, di ciò che ho letto.
Stamani ho letto "Love in a blue time", di H. Kureishi, autore che conobbi ad una passata edizione di Collisioni. Lui è quello che si salva, nonostante i cazzi, i culi e la cocaina (ma a ben vedere, appunto, alcuni racconti sono davvero belli).
Adesso inizio un libro che è stato finalista allo Strega nel 2010.
Speriamo in bene.
Speriamo anche questo agosto finisca.
martedì 21 agosto 2012
Una telefonata, part three (ancora e sempre agosto...)
In cucina la
radio accesa accompagnava la mia danza culinaria, mentre facevo sbollentare i
broccoli in abbondante acqua, mentre poi li facevo rosolare in padella con uno
spicchio d’aglio, mentre stappavo la birra fresca di frigo. Apparecchiai il
bancone dove ero solito cenare e salai l’acqua dove avevo sbollentato i
broccoli, così da farvi poi cuocere la pasta. Presi una bel po’ di spaghetti ed
appena l’acqua riprese a bollire ce li buttai dentro, con l’intento di farli
saltare, a cottura ultimata, nella padella con i broccoli.
Quando gli
spaghetti erano ancora dritti nella pentola, il telefono squillò.
Ritornò fulmineo
il ricordo della telefonata del mattino.
Naturalmente
poteva non essere quello che temevo, poteva essere ancora Elisa che mi
aggiornava su chissà cosa, poteva essere un caro amico del liceo che si
rifaceva vivo dopo vent’anni, poteva essere chiunque, ma io avevo un
presentimento. Un terribile presentimento.
Prima di tutto
c’era la puntualità fastidiosissima di quegli squilli che mi faceva dar credito
al presentimento: avevo appena buttato la pasta, pochi minuti di distrazione e
sarebbe stata scotta. Ero in procinto di mangiare e rilassarmi. Era un momento
perfetto, insomma, per disturbarmi.
E poi era
probabile che quella voce insolente mi avesse cercato per tutto il giorno, ma
io ero fuori casa, e ora stesse verificando se fossi rientrato.
Con la birra in
mano andai al telefono ed alzai la cornetta.
“Bentornato!”
disse quella voce, proprio quella, inconfondibilmente la voce anonima della
mattina.
“Allora, vediamo
se indovino, hai paura di divertirti? Vedi, ci ho pensato per tutto il
pomeriggio e questa è la mia conclusione” disse convinta.
“Lei ha bisogno
di aiuto! Lei farnetica!” dissi io disturbato da quella affermazione.
“Su, via, non
essere così permaloso. La verità fa male, lo so, però …”
“Però un bel
niente! Come si permette di psicanalizzarmi in un minuto di telefonata! Se c’è
qualcuno che ha dei problemi è lei, questo è sicuro!” dissi io, bevendo poi un
sorso dalla bottiglia di birra.
“Va bene, va
bene, ho sbagliato” disse la voce con un tono di scuse.
“Sì, lei ha
sbagliato tutto dal principio e come stamani lei ha sbagliato anche momento per
chiamare” dissi convinto, pensando ai miei spaghetti che avrebbero necessitato
almeno di essere girati mentre cuocevano.
“Vedi, questo fa
parte del gioco. Una delle due parti deve essere scontenta, per dare equilibrio
all’insieme” mi disse la voce come volesse spiegarmi uno degli assioma più
importanti della chimica nucleare.
Io corrucciai lo
sguardo, bevvi un altro sorso di birra e pensai seriamente che avevo a che fare
con uno squilibrato.
“Senta, mi spiace,
ma ho la pasta sul fuoco. La devo lasciare. La prego di non cercarmi mai più.
Io non so chi lei sia e non mi interessa saperlo, naturalmente. Penso di non
averla mai incontrata e di non averle mai fatto alcun torto. Addio”
Quando riattaccai
rimasi fermo qualche istante, poi corsi a girare gli spaghetti, al termine
della cui cottura mancava veramente poco. Riaccesi il fuoco sotto la padella,
trangugiai la birra e scolai gli spaghetti.
Seduto al
bancone, con un piatto di abbondante pasta ai broccoli sotto il naso, con una
nuova bottiglia di birra affianco al bicchiere, con molta confusione in testa,
aspettai mi tornasse l’appetito.
Procurandomi un
fastidio insopportabile, il telefono squillò mentre masticavo il primo boccone
di quella cena. Lo stomaco mi si contrasse, ma continuai imperterrito a
mangiare. Ci furono una ventina di squilli. E poi altri venti dopo pochi
minuti, fino a quando decisi di staccare il telefono. Mi sdraiai sul divano e
nel giro di mezz’ora mi ero addormentato.
mercoledì 15 agosto 2012
Una telefonata, part two (sempre d'agosto...)
Devo ammettere
che cominciai a sentire un po’ di angoscia cadermi addosso. La situazione stava
diventando inquietante, insomma, non riuscivo a capire la qualità di tutte
quelle parole e insinuazioni, non sapevo se dubitare dei miei ricordi, se
dovevo forse cominciare a credere che una parte inconscia di me stava
nascondendo alla mia razionalità un incontro avvenuto, una disgrazia successa.
Quella voce rimaneva calma, non sembrava nascondere del rancore.
È pur vero che di
cretinaggini io ne ho fatte, nella mia vita. È probabile che qualcuno sia
arrabbiato con me per qualche motivo, ma è forse questo un atteggiamento che quel
qualcuno avrebbe oggi?
“Senti, stai
calmo, rilassati. Non ti chiedo niente, solo di ascoltarmi per qualche minuto,
così ci divertiremo.”
“Cosa?” chiesi
sbalordito “Divertirsi? Ma lei è completamente …” non feci in tempo a finire la
frase che la voce disse:
“Divertirsi, sì,
perché, non sai più cosa vuol dire?” e disse questa frase con una sfumatura
nella voce che mi lasciò completamente disorientato. Era intraducibile,
l’intenzione di quella voce. Era … era … non riuscii ad andare oltre.
Riattaccai immediatamente la cornetta del telefono.
Seguì un silenzio
profondissimo. L’intera stanza sembrò ovattarsi d’improvviso. Il mio respiro
risuonava nella cassa toracica con forza inaudita. Restai immobile davanti al
telefono per lunghi istanti.
Non avevo capito
nulla di ciò che era successo, ma mi colse la paura, di questo ne sono sicuro.
Il telefono
squillò improvvisamente un’altra volta. Feci un passo indietro, guardando
quell’apparecchio rosso con timore, come se da quella plastica potesse riuscire
quella voce. Squillò lungamente, ma io non risposi. Quando poi tacque andai
verso la caffettiera.
Mi versai tanto
caffè nella tazzina e senza neanche zuccherarlo lo buttai giù. Poi ne presi
ancora un goccio, dolce.
Mi sedetti sul
divano e cominciai a pensare seriamente a chi potesse essere quella voce. La
verità era che non ne avevo la più pallida idea. Mi feci anche un esame di
coscienza, misi in discussione molte cose di me, mi feci il terzo grado,
guardai i torti che feci dritto negli occhi. Nulla, nulla di tutto questo,
però, poteva giustificare quella strana telefonata.
Rispetto alle
altre mattine ero in ritardo e non potevo permettermi di stare lì sul divano a
pensare a quella voce e al mio passato. Dovevo proprio decidermi a uscire di
casa, l’appuntamento con Elisa sarebbe stato dopo una ventina di minuti. Così
mi scrollai di dosso l’umore sospettoso e insicuro che mi era rimasto
appiccicato alla pelle e mi preparai per uscire.
Arrivai al bar
dell’appuntamento cinque minuti in anticipo. Elisa era già lì, cosa insolita
per lei.
“A cosa devo
tutta questa puntualità, Elisa?” chiesi scherzando.
“A dirla tutta il
mio era un intento di anticipo dell’appuntamento … ti ho anche chiamato a casa
per proporti di incontrarci prima, ma non hai risposto al telefono”
“Mi hai
chiamato?” chiesi con un interesse spropositato agli occhi di Elisa. “Quando mi
hai chiamato?” le chiesi, sedendomi al tavolino.
“Prima, non so
quando. Sarà un’oretta fa, ormai …”
“Allora eri tu”
osservai a bassa voce.
“Tutto bene?” mi
chiese Elisa preoccupata.
“Sì, sì,
benissimo. Solo … oh, niente, una sciocchezza, lasciamo perdere!” dissi con un
po’ di sollievo.
La giornata
trascorse poi normalmente, senza che l’episodio della telefonata mi turbasse
più di tanto.
Quando alla sera
tornai a casa avevo una fame da lupi. La giornata era stata impegnativa e avevo
avuto tempo solo per buttar giù un tramezzino prosciutto e uova. Così l’unica
cosa che volevo fare era cucinarmi una buonissima pasta ai broccoli, bere una
birra e poi lasciare che la notte mi sorprendesse già addormentato sul divano.
giovedì 9 agosto 2012
Scrivendo d'agosto. Una telefonata, part one.
Quando il
telefono squillò io mi stavo facendo la barba. Avevo appena iniziato a radermi
la guancia sinistra e a liberarla così dalla schiuma bianca e come al solito ero
molto concentrato. Al mattino come prima cosa mi faccio la doccia e mi rado,
come fosse una ritualità. Solo dopo essere stato in bagno vado in cucina a
farmi il caffè.
Per questo motivo
appena sentii il telefono squillare pensai che non avrei risposto, pensai che
chiunque fosse stato avrebbe richiamato anche un quarto d’ora dopo. Ma il
telefono continuava a squillare, fastidiosamente, e a ogni squillo la mia mano
faceva un sussulto. Al decimo insistente trillo decisi dunque di rispondere.
Andai in salotto
con un asciugamano tra le mani. Sbuffai e alzai la cornetta, facendo attenzione
a non impastarla con la schiuma rappresa sulle mie guance.
“Pronto?”
“Finalmente. Ci
voleva tanto?”
“Scusi, chi
parla?”
“Non mi
riconosci?” chiese quella voce, pacatamente, quasi divertita.
Io riflettei un
attimo, spulciando nella memoria a chi potesse appartenere quella voce. Poi
dissi:
“No, non la
riconosco. Chi è?”
“Fai sul serio?”
A me venne un po’
di nervoso. La schiuma da barba cominciava a darmi fastidio, quasi mi bruciava
la pelle e quella voce misteriosa non si palesava.
“Senta, forse ha
sbagliato numero, forse cercava un’altra persona. In questo momento sono anche
occupato, non posso stare al telefono. Per cui la saluto” e riattaccai.
Tornai subito in
bagno e prima di prendere il rasoio tra le mani mi guardai allo specchio
chiedendomi se forse non ero stato troppo brusco. Questo pensiero scivolò subito via e così
potei continuare a radermi in tutta tranquillità.
Quando mi
sciacquai la faccia, percepii uno strano fastidio al mento. Avevo un taglio
piccolo ma profondo. Che strano, non me ne ero accorto prima. E ancor più
strano, io non mi taglio mai. Così mentre tamponavo il taglio pensai che era
stata quella telefonata a distrarmi così tanto dalla rasatura. Ci doveva essere
stato qualcosa che mi aveva turbato.
Con un piccolo
cerotto sul mento andai in cucina. Aprii la finestra per far entrare la fresca
aria delle mattinate di primavera e cominciai a prepararmi il caffè. Quella
mattina optai per la caffettiera napoletana, che da solo qualche mese mi ero
comprato. Così la smontai e la rimontai dopo averla caricata di acqua e caffè
in polvere. La misi sul fuoco e mi soffermai a guardare gli alberi del giardino
pubblico oltre la finestra.
Aspettavo dunque
che dal buchino della caldaia fuoriuscisse lo spiffero di vapore, che mi
avrebbe avvertito di togliere la caffettiera dal fuoco e di capovolgerla,
quando il telefono squillò per la seconda volta.
Appena lo sentii
mi congelai in una smorfia di incredulità e fastidio.
Possibile che
arrivasse un’altra chiamata proprio quando avevo messo il caffè sul fuoco? Mi
precipitai dunque al telefono, sperando di risolvere la questione prima che
arrivasse il momento di capovolgere la caffettiera.
Alzai la cornetta
e rimasi in silenzio. Sentii un insicuro “Pronto?”, pronunciato dalla voce
anonima di prima.
“Sì, pronto!” e
poi ci fu un breve silenzio, che mi diede l’incentivo di prevenire le parole di
quella voce. “Senta, o mi dice chi è lei o sappia che il suo è tempo perso. Lei
oltretutto ha un tempismo pauroso per disturbarmi!”
“Siamo
nervosetti?” insinuò la voce.
Io inspirai
profondamente e poi mi sporsi per tenere sotto controllo la caffettiera, che
sembrava ancora lontana dal bollore.
“Sei sicuro di
non riconoscermi? Io ti riconosco e conosco … prova a cercare nei ricordi” mi
disse quella voce, sempre calma e sicura. “Sono passati un po’ di anni, ma
questo non giustifica il tuo atteggiamento” concluse poi.
“Senta, gli
indovinelli non mi piacciono e se realmente mi conoscesse dovrebbe saperlo. Se
proprio ci tiene mi dica chi è altrimenti non importa, riuscirò a vivere
ugualmente”
“Ne sei sicuro?”
“Sì, ne sono
sicuro, mi preoccupa molto di più il caffè che ho al fuoco, se è per questo!”
dissi, e guardando verso la caffettiera vidi che proprio in quel momento
fuoriusciva del vapore. “Ecco, devo togliere la napoletana dal fuoco!”
“Va bene, io ti
aspetto, fai pure”
Non so come mai,
ma invece di interrompere la telefonata, semplicemente, senza dir nulla,
appoggiai la cornetta al tavolino e andai in cucina a prendere la caffettiera e
a capovolgerla. Stupito di me stesso tornai al telefono e dissi “Fatto”
“Bene, adesso
abbiamo più tempo, tu devi aspettare che l’acqua filtri nella polvere del caffè
… chissà, sarai più rilassato!”
“Questo non lo so
… chi è lei? Cosa vuole da me? Come fa a conoscermi?” dissi tutto d’un fiato.
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