In cucina la
radio accesa accompagnava la mia danza culinaria, mentre facevo sbollentare i
broccoli in abbondante acqua, mentre poi li facevo rosolare in padella con uno
spicchio d’aglio, mentre stappavo la birra fresca di frigo. Apparecchiai il
bancone dove ero solito cenare e salai l’acqua dove avevo sbollentato i
broccoli, così da farvi poi cuocere la pasta. Presi una bel po’ di spaghetti ed
appena l’acqua riprese a bollire ce li buttai dentro, con l’intento di farli
saltare, a cottura ultimata, nella padella con i broccoli.
Quando gli
spaghetti erano ancora dritti nella pentola, il telefono squillò.
Ritornò fulmineo
il ricordo della telefonata del mattino.
Naturalmente
poteva non essere quello che temevo, poteva essere ancora Elisa che mi
aggiornava su chissà cosa, poteva essere un caro amico del liceo che si
rifaceva vivo dopo vent’anni, poteva essere chiunque, ma io avevo un
presentimento. Un terribile presentimento.
Prima di tutto
c’era la puntualità fastidiosissima di quegli squilli che mi faceva dar credito
al presentimento: avevo appena buttato la pasta, pochi minuti di distrazione e
sarebbe stata scotta. Ero in procinto di mangiare e rilassarmi. Era un momento
perfetto, insomma, per disturbarmi.
E poi era
probabile che quella voce insolente mi avesse cercato per tutto il giorno, ma
io ero fuori casa, e ora stesse verificando se fossi rientrato.
Con la birra in
mano andai al telefono ed alzai la cornetta.
“Bentornato!”
disse quella voce, proprio quella, inconfondibilmente la voce anonima della
mattina.
“Allora, vediamo
se indovino, hai paura di divertirti? Vedi, ci ho pensato per tutto il
pomeriggio e questa è la mia conclusione” disse convinta.
“Lei ha bisogno
di aiuto! Lei farnetica!” dissi io disturbato da quella affermazione.
“Su, via, non
essere così permaloso. La verità fa male, lo so, però …”
“Però un bel
niente! Come si permette di psicanalizzarmi in un minuto di telefonata! Se c’è
qualcuno che ha dei problemi è lei, questo è sicuro!” dissi io, bevendo poi un
sorso dalla bottiglia di birra.
“Va bene, va
bene, ho sbagliato” disse la voce con un tono di scuse.
“Sì, lei ha
sbagliato tutto dal principio e come stamani lei ha sbagliato anche momento per
chiamare” dissi convinto, pensando ai miei spaghetti che avrebbero necessitato
almeno di essere girati mentre cuocevano.
“Vedi, questo fa
parte del gioco. Una delle due parti deve essere scontenta, per dare equilibrio
all’insieme” mi disse la voce come volesse spiegarmi uno degli assioma più
importanti della chimica nucleare.
Io corrucciai lo
sguardo, bevvi un altro sorso di birra e pensai seriamente che avevo a che fare
con uno squilibrato.
“Senta, mi spiace,
ma ho la pasta sul fuoco. La devo lasciare. La prego di non cercarmi mai più.
Io non so chi lei sia e non mi interessa saperlo, naturalmente. Penso di non
averla mai incontrata e di non averle mai fatto alcun torto. Addio”
Quando riattaccai
rimasi fermo qualche istante, poi corsi a girare gli spaghetti, al termine
della cui cottura mancava veramente poco. Riaccesi il fuoco sotto la padella,
trangugiai la birra e scolai gli spaghetti.
Seduto al
bancone, con un piatto di abbondante pasta ai broccoli sotto il naso, con una
nuova bottiglia di birra affianco al bicchiere, con molta confusione in testa,
aspettai mi tornasse l’appetito.
Procurandomi un
fastidio insopportabile, il telefono squillò mentre masticavo il primo boccone
di quella cena. Lo stomaco mi si contrasse, ma continuai imperterrito a
mangiare. Ci furono una ventina di squilli. E poi altri venti dopo pochi
minuti, fino a quando decisi di staccare il telefono. Mi sdraiai sul divano e
nel giro di mezz’ora mi ero addormentato.
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