mercoledì 15 agosto 2012

Una telefonata, part two (sempre d'agosto...)


Devo ammettere che cominciai a sentire un po’ di angoscia cadermi addosso. La situazione stava diventando inquietante, insomma, non riuscivo a capire la qualità di tutte quelle parole e insinuazioni, non sapevo se dubitare dei miei ricordi, se dovevo forse cominciare a credere che una parte inconscia di me stava nascondendo alla mia razionalità un incontro avvenuto, una disgrazia successa. Quella voce rimaneva calma, non sembrava nascondere del rancore.
È pur vero che di cretinaggini io ne ho fatte, nella mia vita. È probabile che qualcuno sia arrabbiato con me per qualche motivo, ma è forse questo un atteggiamento che quel qualcuno avrebbe oggi?
“Senti, stai calmo, rilassati. Non ti chiedo niente, solo di ascoltarmi per qualche minuto, così ci divertiremo.”
“Cosa?” chiesi sbalordito “Divertirsi? Ma lei è completamente …” non feci in tempo a finire la frase che la voce disse:
“Divertirsi, sì, perché, non sai più cosa vuol dire?” e disse questa frase con una sfumatura nella voce che mi lasciò completamente disorientato. Era intraducibile, l’intenzione di quella voce. Era … era … non riuscii ad andare oltre. Riattaccai immediatamente la cornetta del telefono.
Seguì un silenzio profondissimo. L’intera stanza sembrò ovattarsi d’improvviso. Il mio respiro risuonava nella cassa toracica con forza inaudita. Restai immobile davanti al telefono per lunghi istanti.
Non avevo capito nulla di ciò che era successo, ma mi colse la paura, di questo ne sono sicuro.
Il telefono squillò improvvisamente un’altra volta. Feci un passo indietro, guardando quell’apparecchio rosso con timore, come se da quella plastica potesse riuscire quella voce. Squillò lungamente, ma io non risposi. Quando poi tacque andai verso la caffettiera.
Mi versai tanto caffè nella tazzina e senza neanche zuccherarlo lo buttai giù. Poi ne presi ancora un goccio, dolce.
Mi sedetti sul divano e cominciai a pensare seriamente a chi potesse essere quella voce. La verità era che non ne avevo la più pallida idea. Mi feci anche un esame di coscienza, misi in discussione molte cose di me, mi feci il terzo grado, guardai i torti che feci dritto negli occhi. Nulla, nulla di tutto questo, però, poteva giustificare quella strana telefonata.
Rispetto alle altre mattine ero in ritardo e non potevo permettermi di stare lì sul divano a pensare a quella voce e al mio passato. Dovevo proprio decidermi a uscire di casa, l’appuntamento con Elisa sarebbe stato dopo una ventina di minuti. Così mi scrollai di dosso l’umore sospettoso e insicuro che mi era rimasto appiccicato alla pelle e mi preparai per uscire.
Arrivai al bar dell’appuntamento cinque minuti in anticipo. Elisa era già lì, cosa insolita per lei.
“A cosa devo tutta questa puntualità, Elisa?” chiesi scherzando.
“A dirla tutta il mio era un intento di anticipo dell’appuntamento … ti ho anche chiamato a casa per proporti di incontrarci prima, ma non hai risposto al telefono”
“Mi hai chiamato?” chiesi con un interesse spropositato agli occhi di Elisa. “Quando mi hai chiamato?” le chiesi, sedendomi al tavolino.
“Prima, non so quando. Sarà un’oretta fa, ormai …”
“Allora eri tu” osservai a bassa voce.
“Tutto bene?” mi chiese Elisa preoccupata.
“Sì, sì, benissimo. Solo … oh, niente, una sciocchezza, lasciamo perdere!” dissi con un po’ di sollievo.
La giornata trascorse poi normalmente, senza che l’episodio della telefonata mi turbasse più di tanto.
Quando alla sera tornai a casa avevo una fame da lupi. La giornata era stata impegnativa e avevo avuto tempo solo per buttar giù un tramezzino prosciutto e uova. Così l’unica cosa che volevo fare era cucinarmi una buonissima pasta ai broccoli, bere una birra e poi lasciare che la notte mi sorprendesse già addormentato sul divano.

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