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Gravito intorno ad un umore. Ho la nausea e non posso farci niente. Forse dovrei dormire, con la finestra aperta, in questa stanza che non è mia.
Penso agli ultimi e non so come dirlo. Dire cosa? Il loro essere soli? Il loro essere esterni? Anomali, speciali, disperati?
Penso agli ultimi e vedo delle facce. E poi delle posizioni. Corpi accovacciati per terra e altri corpi che ci camminano affianco. Vedo anche degli occhi. Acquosi. E poi vedo delle labbra, umide, senza un confine preciso, senza contorni che invitino alla certezza. Sorrisi come vuoti, immobili.
Se penso agli ultimi vedo tantissime mani. E le vedo sporche, banalmente sporche.
Penso agli ultimi e non vedo più il paesaggio in cui stanno, come fossero il soggetto d'un quadro che ha dimenticato lo sfondo. Nessuna stazione all'alba. Nessuna panchina. Nessuna mensa affollata.
Ci sono delle vite che sembra si siano perse.
Restano dove sono perchè non sanno dove altro andare. E anche se si spostano, anche se vanno, il loro è un vagare che manca di presa sul presente.
Penso a ciò che mi sta intorno e ci vedo confini, margini, perimetri da non valicare. Una divisione del bene che non è più comune, parcelle di finta sicurezza, egocentrismi. In un luogo così non può esserci posto per tutti.

Gravito intorno ad un umore. Mi assale un senso di incapacità, come quando le braccia restano distese lungo i fianchi e non trovano nessuna forza. Molli, pesanti nell'impotenza della lotta contro la gravità. Non so il perchè di questa simpatia. Una ragione ci dovrà pur essere, e sicuramente c'è. Al momento, però, è come se rimanesse ineffabile e leggermente nascosta.

Persone e personaggi si sono sovrapposti, si sono compenetrati, come in atto d'amore.
Ho scritto di questo scambio. Trasfusioni.
E in un modo o nell'altro continuerò a farlo.