domenica 26 settembre 2010

Di ombra di luce.

"Chi è l'artista oggi? [...] Ebbene, l'artista è colui che incarna al massimo grado questa condizione di essere singolo e irriducibile, incapace di venire a patti con la vita intesa come fatto collettivo, convivenza, responsabilità etica. [...] Certo, potrà pagare le tasse, figliare, fare la raccolta differenziata. Ma dentro si sè, nel cantuccio più riservato e inconfessabile della sua fibra vitale, non capirà mai bene che cazzo significano tutte quelle cose. Ed è proprio in questa incomprensione radicale [...], è proprio in questa idiozia senza rimedio che si annida (come una malattia mortale, non come un privilegio) la sua capacità di visione, di allucinazione, di decostruzione del reale."
Emanuele Trevi.

Tutto questo mi fa pensare alla luce e all'ombra.
"Perchè la pace che ho sentito in certi monasteri, o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa, sono solo l'ombra della luce" canta Battiato, pensando a Dio, ad un Dio, Allah.
Io penso al contemporaneo. All'arte. Al tempo.
Che si debba andare oltre la luce per cogliere l'ombra.
L'intima oscurità.
Beccarsi sul viso, in faccia, sul muso, tutto quel fascio di tenebra del Tempo.
Far emergere il buio.
Il negativo.
L'oscuro.
Vedere in una correlazione processuale l'ombra e la luce.

E per chi ha bisogno di credere, buon ascolto.




giovedì 23 settembre 2010

Blank.

Mi vesto di bianco, sposa sacrificale che non ha altare.
Mi vesto di bianco, mi metto indosso tutta la luce che posso, sperando almeno l'apparenza inganni il mio animo. Se distrattamente mi vedo riflessa allo specchio il mio sguardo respira, come dinnanzi ad un quadro ben calibrato. Respiriamo profondamente, dunque, io e me stessa, come fossimo due persone che condividono il medesimo corpo. Un corpo ricoperto di lana bianca, morbida, calda. Mi ci avvolgo dentro, scaldandomi il collo e il petto.
All'ottava sigaretta della mattinata decido di uscire. L'aria qui dentro è già e ancora piena di nicotina ed il fumo esercita su di me una sorta di oppressione.
La mansarda in cui vivo è scura, nonostante le due grandi finestre basculanti. E' scura e disordinata, con troppe cose appoggiate per terra, tre paia di scarpe, nove libri accatastati l'uno sopra l'altro accanto alla poltrona dove adesso son seduta, fogli stampati e messi in ordine sparso come caselle d'un puzzle che cercano il proprio posto, vecchie cassette, un paio di mutande pulite, le pantofole di pile che mai uso, il borsone di pelle, tre penne, una bottiglia di vino vuota, due bicchieri sporchi, due assorbenti viola ancora chiusi, un paio di maracas.
Allontano le ginocchia dal mento e dal petto e stendo le gambe, facendo toccare i talloni per terra. La poltrona a dondolo cigola sotto lo spostamento di peso del mio corpo e mi invita ad alzarmi.
Cammino a piedi nudi sul pavimento freddo, scartando gli oggetti che ostacolano il mio percorso. Raggiungo il bagno, per guardarmi riflessa allo specchio, bianca, per guardarmi e respirare.
Adesso esco, mi dico, senza pronunciar parola, guardandomi negli occhi. Lavati i denti, mi dico, questa volta dando alito alle parole. Scelgo un tubetto di dentifricio tra i tanti sdraiati sulla mensola, prendo quello che sembra meno vuoto e lo spremo sulle setole dello spazzolino. Sfrego sui denti con talmente tanta forza che pian piano le mie gengive si stanno ritirando.
Mi guardo i capelli arruffati e ci passo una mano in mezzo, come se le mie dita fossero un pettine. Io non ho neanche un pettine, sempre stata contraria. I miei capelli son quel che sono, al massimo li raccolgo sulla nuca incastrandoci dentro una matita. mia nonna mi odiava, per questo. Diceva che dovevo pettinarmi se non volevo sembrare scappata di casa. Diceva che tutta trasandata il mio viso si imbruttiva. Mia nonna mi vedesse adesso finalmente morirebbe, ponendo fine alle agonie della senilità. Se le volessi veramente bene andrei a trovarla in clinica e le farei venire un infarto. Me ne sarebbe riconoscente. Lei, ora ridotta ad un vegetale, lei, che quando ancora ragionava voleva corrompere il suo medico perché le facesse una puntura letale.
Sorriso forzatamente alla mia immagine riflessa, guardandomi i denti. Puliti. Regolari. Bianchi. Cristo, giornata monocromatica.
Torno nell'altra stanza e dal tavolo prendo le chiavi di casa, le sigarette, un accendino e cinque euro. Tiro su anche trenta centesimi, non si sa mai.
Mi infilo senza calze le scarpe che ho comprato l'estate scorsa a Rotterdam, le più eleganti che ho, tre euro, usate prima di me da chissà chi, forse una donnina estrosa che per esternare la propria bizzarria indossava scarpe con un tacco blu scuro di quattro centimetri, con la punta rossa ed il tallone verde.
Mi ritrovo in strada. Fioca chiara luce trafigge la leggera nebbiolina che si sta alzando. Ed io, chiaro volume tra chiaro volume in dissolvenza, giro subito a sinistra, come fosse un automatismo. Se ho girato a sinistra è perché sto andando al cimitero.
Il percorso è abbastanza esposto al traffico delle macchine che entrano in città, automobili che quindi non hanno ancora ridimensionato la propria velocità. Corrono, corrono ed io, nel verso contrario, cammino. Lentamente. Come se il bianco che indosso mi imprimesse un'aura pacata, alta sopra i ritmi frenetici della città.
Vado verso il cimitero e penso che allora sarebbe stato meglio starmene in mansarda. Zitta e buona. A fumare, ad ascoltare la radio, a dissolvermi. Invece no, dritta verso il nodo di tutti i dolori, dritta verso la tomba del mio giovane marito, morto ventiseienne. Vedovanza che cammina. Vuoto improvviso che sopraggiunge. Neanche il tempo di godere l'uno dell'altra. Neanche il tempo di finire il mobile per la camera da letto.
Mi presento da lui senza fiori. Senza niente. Gli porto solo i miei saluti. Ciao caro mio. Coma mai te ne sei già andato via? non so più cosa fare. Cosa devo fare? dove devo investire le poche energie che mi restano?
E' stata un'idea stupida, venire a trovarti. Scusami. Non ce la faccio.
Riattraverso il viale del camposanto. Incrocio altre vedove. Loro avranno almeno sessant'anni. Loro avranno imparato la solitudine, la consolazione del punch caldo o dell'Atto di Dolore. Loro, mi dico, avranno goduto almeno un po' il proprio compianto marito. Io no. E' questo che mi corrode.
Fuori dal cimitero ripercorro il tragitto al contrario, senza neanche pensare di fare una passeggiata, o di andare a prendere un caffè da qualche parte o di incontrare qualcuno. Ma qualcuno chi, oltretutto? dopo che lui è morto i nostri amici hanno pensato di lasciarmi ampio spazio di solitudine, alcuni forse hanno paura di essere troppo invadenti, non lo so.
Davanti al portone di casa il mio sguardo si posa sull'etichetta del citofono, l'etichetta del nostro citofono, con il mio cognome e il suo. Un solo attimo che dura il tempo di inserire la chiave e di far scattare la serratura, un attimo brevissimo e crudele.
La rampa di scale che mi ritrovo davanti sembra enorme, altissima, infinita. Lotto contro il magone che sta per sorprendermi. Raggiungo la mansarda senza ormai fiato.
Entro in casa. Respiro profondamente. Chiudo la porta alle mie spalle. Mi tolgo le scarpe.
Vado subito a guardarmi allo specchio del bagno. Bianca. Bianca. Bianca. Bianco. Bianco. Bianco. Bianco. Rosso. D'improvviso. Io inginocchiata nella vasca da bagno che lavo i suoi vestiti. I vestiti nei quali è morto. L'acqua che diventa rossa, intorno alle mie nude gambe. E' il suo sangue. E' morto sfracellato. I vestiti sono pieni di suo sangue. Lezzo. Lacrime. Nausea. Rito funebre. Io immersa nella vasca da bagno rossa. Marat. Ofelia. Mi addormento, marinando in sangue morto e acqua salata. Al risveglio globuli rossi e bianchi rappresi sulla mia pelle. Per un'ultima volta ancora insieme.

domenica 19 settembre 2010

CRAVE, morire dalla voglia di...

Words by S. Kane

...E voglio giocare a nascondino e darti i miei vestiti e dirti che mi piacciono le tue scarpe e sedermi sugli scalini mentre fai il bagno e massaggiarti il collo e baciarti i piedi e tenerti la mano e andare a cena fuori e non farci caso se mangi dal mio piatto e incontrarti da Rudy e parlare della giornata e battere a macchina le tue lettere e portare le tue scatole e ridere della tua paranoia e darti nastri che non ascolti e guardare film bellissimi e guardare film orribili e lamentarmi della radio e fotografarti mentre dormi e svegliarmi per portarti caffè brioches e ciambella e andare da Florent e bere caffè a mezzanotte e farmi rubare tutte le sigarette e non trovare mai un fiammifero e dirti quali programmi ho visto in tv la notte prima e portarti a far vedere l’occhio e non ridere delle tue barzellette e desiderarti di mattina ma lasciarti dormire ancora un po’ e baciarti la schiena e carezzarti la pelle e dirti quanto amo i tuoi capelli i tuoi occhi le tue labbra il tuocollo i tuoi seni il tuo culo il tuo

e sedermi a fumare sulle scale finché il tuo vicino non torna a casa e sedermi a fumare sulle scale finché tu non torni a casa e preoccuparmi se fai tardi e meravigliarmi se torni presto e portarti girasoli e andare alla tua festa e ballare fino a diventare nero e essere mortificato quando sbaglio e felice quando mi perdoni e guardare le tue foto e desiderare di averti sempre conosciuta e sentire la tua voce nell’orecchio e sentire la tua pelle sulla mia pelle e spaventarmi quando sei arrabbiata e hai un occhio che è diventato rosso e la’ltro blu e i capelli tutti a sinistra e la faccia orientale e dirti che sei splendida e abbracciarti se sei angosciata e stringerti se stai male e aver voglia di te se sento il tuo odore e darti fastidio quando ti tocco e lamentarmi quando sono con te e lamentarmi quando non sono con te e sbavare dietro ai tuoi seni e coprirti la notte e avere freddo quando prendi tutta la coperta e caldo quando non lo fai e sciogliermi quando sorridi e dissolvermi quando ridi e non capire perché credi che ti rifiuti visto che non ti rifiuto e domandarmi come hai fatto a pensare che ti avessi rifiutato e chiedermi chi sei ma accettarti chiunque tu sia e raccontarti dell’angelo dell’albero il bambino della foresta incantata che attraversò volando gli oceani per amor tuo e scrivere poesie per te e chiedermi perché non mi credi e provare un sentimento così profondo da non trovare le parole per esprimerlo e aver voglia di comperarti un gattino di cui diventerei subito geloso perché riceverebbe più attenzioni di me e tenerti a letto quando devi andare via e piangere come un bambino quando te ne vai e schiacciare gli scarafaggi e comprarti regali che non vuoi e riportarmeli via e chiederti di sposarmi e dopo che mi hai detto ancora una volta di no continuare a chiedertelo perché anche se credi che non lo voglia davvero io lo voglio veramente sin dalla prima volta che te l’ho chiesto e andare in giro per la città pensando che è vuota senza di te e volere quello che vuoi tu e pensare che mi sto perdendo ma sapere che con te sono al sicuro e raccontarti il peggio di me e cercare di darti il meglio perché è questo che meriti e rispondere alle tue domande anche quando potrei non farlo e cercare di essere onesto perché so che preferisci così e sapere che è finita ma restare ancora dieci minuti prima che tu mi cacci per sempre dalla tua vita e dimenticare chi sono e cercare di esserti vicino perché è bello imparare a conoscerti e ne vale di sicuro la pena e parlarti in un pessimo tedesco e in un ebraico ancora peggiore e far l’amore con te alle tre di mattina e non so come non so come non so come comunicarti qualcosa dell’assoluto eterno indomabile incondizionato inarrestabile irrazionale razionalissimo costante infinito amore che ho per te.

venerdì 17 settembre 2010

Rabbit in your headlight.

Video U.N.K.L.E.
voice by Yorke.

guarda il video.


I'm a rabbit in your headlights
Scared of the spotlight
You don't come to visit
I'm stuck in this bed

Thin rubber gloves
She laughs when she's crying
She cries when she's laughing

Fat bloody fingers are sucking your soul away...
(Away....away....away....)

I'm a rabbit in your headlights
Christian suburbanite
Washed down the toliet
Money to burn

Fat bloody fingers are sucking your soul away...

Sample from movie Jacob's Ladder :
If you're frightened of dyin' and you're holding on...
You'll see devils tearing your life away.
But...if you've made your peace,
Then the devila are really angels
Freeing you from the earth.....from the earth....from the earth

Rotworms on the underground
Caught between stations
Butterfingers
I'm losing my patience

I'm a rabbit in your headlights
Christian suburbanite
You got money to burn....

Fat bloody fingers are sucking your soul away.....
Away, away, away,
Away, away, away

venerdì 10 settembre 2010

Da "Paroxetina", NON PUò SUCCEDERE PIù NIENTE.

Ho il cuore impazzito, pompa sangue su sangue come avesse paura possa restarne senza. Faccio scorta di globuli bianchi e rossi e piastrine e sento tutto questo mondo ematico salirmi nel naso e poi arrivarmi in gola e mi sembra di sentire il sapore ferruginoso del sangue, ma non del mio sangue, ma di quello di Luigi, che adesso ha il naso tutto rosso. Per un attimo penso che non ho mai visto dare questo genere di pugni.
Da non so dove arriva qualcuno, che riconosco poi essere il barista. Urla anche lui, dice, Basta che chiamo i carabinieri, oh, capito?
Si avvicina al tizio che mena Luigi, cerca di spostarlo da lì, a momenti si prende anche lui un pugno. Cazzo, basta, bastaa! Urla così forte che il tizio si ferma e lo guarda.
C'è un attimo di sospensione. C'è un sosppiro, quasi un anelito, che tutti sentiamo. Mi guardo intorno. C'è un capannello di gente.
Tutti zitti, fermi, immobili. E' solo un attimo.
Poi Luigi risblocca il tempo.
Lo vedo chiaramente, come cristallizzato nella successione delle proprie azioni. Frame dopo frame lo guardo, col sangue che gli cola lungo il collo, con quel suo sguardo uguale a sei anni fa, nonostante le botte e la posizione. E' sempre e solo lui. Dagli occhi gli esce quella stessa espressione di strafottenza, , che mi ferisce e affascina nello stesso tempo. E' con la schiena a terra. Si sbilancia lievemente sul lato sinistro del corpo, aderendo con la gamba e il fianco all'asfalto e puntando il piede in terra come per trarne forza. Infila il braccio destro sotto la schiena sollevata. Da questa torsione estrae una pistola, che impugna stretta nella mano. Ne vedo la muscolatura tesa e nervosa, , da quanto stringe le dita gli diventano bianche. Il freddo non può più fare niente, non può più colorargli la pelle di rosso vermiglio, non può raffreddarlo d'improvviso e bloccarlo.
Non può succedere più niente.
Luigi punta la pistola e preme il grilletto.

mercoledì 8 settembre 2010

Ricordi, #4.

Ricordo una persona che ricorda. Davanti a me, davanti ad una bottiglia di vino bianco, davanti ad un tavolo lungo che noi occupavamo solo nell'angolo.
Ricordo per un istante, allora, un bagno, una finestra con il vetro appannato, e lui che mi dice che gli mancava casa.
Ricordo che ho scovato tanti nuovi ricordi, ma ora mi sembra di non averne.
Di non aver nessun ricordo che spinga più degli altri, nessuna immagine che sale in superficie e che comincia a galleggiarmi nel cervello.
Forse la diga del Vajont, ma per pochissimo.
Ho bisogno di rugiada. Di erba umida. Come le mura al mio risveglio, ieri mattina, che sembrava ottobre inoltrato quasi novembre.
Sospensione dei ricordi. Questo quarto post, Ricordi #4, è una privazione di memorie.
Fine.

venerdì 3 settembre 2010

Flimsy me.

Scrivo lettere d'amore senza amare nessuno.
Settembre è iniziato, l'estate è finita, così dicono tutti.
Rileggo lettere d'amore che ho scritto perchè qualcuno lo amavo e questo qualcuno non mi voleva più.
Non riesco a guardarti con occhi più distaccati, meno desiderosi. Non ancora. Ed è questo il calcolo che non torna. Scappo lontana, seppellisco ricordi, nascondo e evito oggetti e cose che sono nostra estensione. Ma non è vero, a questo punto, che non avere le cose sotto mano te le fa dimenticare.
Confondo il reale con l'etereo.
Vorrei poterti chiamare ogni volta che qualcosa di importante mi succede. Vorrei che il telefono non pesasse così tanto. Vorrei correrti incontro e travolgerti in un abbraccio volante. Vorrei intimità, punto, virgola.
Le temperature si sono notevolmente abbassate.
La mia mente non riesce a formulare che verbi.
Contare, conteggiare, inquadrare, incasellare, schedare, vivisezionare, campionare, compilare, ordinare, posizionare, gestire, osservare, selezionare, scremare, impilare, ammucchiare, dividere, raggruppare, sottoraggruppare, gerarchizzare, investire, minimizzare, enfatizzare, decidere, giudicare, additare, evidenziare, sottolineare, cerchiare, inspessire, volumizzare, ingrandire, prospettare, vedere, capire, scartare, scagliare, lanciare, allontanare, mimetizzare, confondere, sbagliare, deviare, evitare, rifiutare, negare, mentire, tragiversare, mirare, confondere, miscelare, saturare, sciogliere, ghiacciare, sublimare, evaporare, annacquare, allungare, ingannare, camuffare, travestire, truccare, snaturare, artificializzare, colorare, aggiungere, innestare, assemblare, comporre, scomporre, prolungare, continuare, avanzare, protrarre, tirare, stirare, lisciare, arricciare, intorcolare, amare.