venerdì 30 luglio 2010

... assaggio.

Mi hai dato due incarichi. Uno, non telefonarti. Due, non vederti. Adesso sono un uomo occupato. C'è anche un terzo incarico: non pensare a te. Ma tu non me lo hai affidato, e dunque io ti penso.
Sono uscito dalla stanza della mia malattia, pensavo a te. Mi sono detto, esci che ti distrai. Non ce la faccio.
In lontananza, la stazione. Ovverto tu. Tu che ritorni da un tuo viaggio, e mi vieni incontro con il carrello dei bagagli e improvvisi intorno al mio corpo fermo che ti aspettava una danza dell'amore e del corteggiamento. Mi giri intorno tenendo gli occhi fissi nei miei e conduci a cerchio le rotelle del carrello, a seguirti cominciò a girarmi la testa, come danza sufi.
[...]
Ti posso chiamare Fulvia? Non ti piacerebbe, ma adesso tu sei Fulvia. Ricordi il libro? Lo hai letto in un giorno. Fulvia. Maledetta. Le proprie lettere bisogna pur spedirle a qualcuno. Quale è il tuo indirizzo, Fulvia?
E' difficile per me anche in sogno vedere il tuo volto, ogni tanto.
Donna senz'arte, come occupi il tuo tempo? E' bello levare il pane agli uomini e darlo ai cani?
Loro, i cani, sono arruffoni e cani.
Questa città è recinta per me dal tuo nome.
Le notizie dal mondo non arrivano.
[...]
Tu senza le parole ti tuffi in fondo al mare e dal fondo del mare porti sabbia fluida come fango.
E io ho molte parole, ho la forza, ma quella a cui dico tutte le mie parole è straniera. Non essermi estranea né tantomeno straniera. Torna in patria. Non ti manca la tua terra?
Se ritorni, te lo giuro, non ti occuperò né spazio né tempo. Avrò il giorno e avrò anche la notte e non ti preoccupare, vivrò negli intervalli.
Sherazade, ti piace come nome? Si addice di più a me, però.
Allora oggi ti chiamerò... ti chiamerò Nina.
Nina. Mia dolce Nina. Che vieni dal Sud delle Americhe. Che hai pelle giovane e olivastra. Sei tu che ti dondoli su quella altalena, all'ombra delle acacie?
[...]
In Kirghizistan, Nina. Il Kirghizistan. Sei tra la Cina e l'Uzbekistan, Nina, Cristo. E che lingua parlerai? Che lingua stai parlando? Russo? Kirghiso? Uzbeco?
Nina, tu parli il Farsi e dimmi, nel sud del Kirghizistan si parla Farsi? Un po' di Persia è arrivata fin lì?
Dì in quale lingua dirai l'ultima parola, morendo.
Nina, dimmi in quale lingua dirai l'ultima parola, morendo.

giovedì 22 luglio 2010

Solitudini.

Una persona mi fa notare che i miei personaggi sono soli.
Alla presentazione del libro del 7 luglio me ne è stato chiesto il perché.
Perché?
Perché i miei personaggi sono soli?
Una persona sola, seduta su un marciapiede, mi attrae di più di un gruppo di amici ugualmente seduti su un marciapiede.
Quando uno guarda l'orizzonte sopra al mare, è solo, nella mia testa.
L'orizzonte stesso è solo, ha qualcosa a che fare con la solitudine.
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione. Forse dico una stronzata, pardon, ma quella disperazione è sola. Non è una risorsa condivisibile. Non riesce neanche ad essere, il più delle volte, una male condivisibile.
C'è. Esiste. Dove nessun altro può essere e arrivare.
La rendicontazione, che non è una questione dei soli notai, avviene dentro, dove non c'è nessun altro, dove iotuluilei è lasciato solo ad ascoltare quei pochi rumori che ci sono: il sangue nelle vene, che scorre, che è assordante; il cuore che pompa e la sistole e la diastole che rimbombano nel costato; il soffio dei polmoni; lo stridore della bile.
Che poi ci saranno mille solitudini diverse. Si possono chiamare in causa la società, l'emarginazione, il razzismo, il pregiudizio. Nei miei racconti faccio anche questo, ma la solitudine, la solitudine di cui io parlo o che faccio parlare, è una questione molto più privata. E' esistenziale, o meglio, è contingente.

"Il mio essere contingente"
installazione site-specific
marzo 2005
materiali: tubo in vetro di Murano, urina, vernice lucida

Un pomeriggio ho scoperto un vecchio magazzinno abbandonato e da allora ne ho frequentato soprattutto una lunga stanza; pian piano ho cominciato a sentire quello spazio sempre più mio e me ne sono presa cura. Ho pulito la lunga passerella di assi di legno che attraversava longitudinalmente l'ambiente. Ho scrostato le assi e le ho riverniciate. L'ultima azione che ho compiuto nella stanza è stata quella di fissare tra le assi un tubo in vetro - alto circa 170 cm e con un diametro di 2,5 cm - riempito di mia urina.
Sembra oro. O miele. O sole.

lunedì 19 luglio 2010

Domani.

RIPORTO SUL BLOG UNO STRALCIO DELL'ATTO UNICO CHE HO SCRITTO, "DOMANI."
Una stanza. Al centro due sedie. Un neon la illumina. Due personaggi, due donne, A e B.

[...]

B: Ci sono persone con le parole e senza parole. Le persone con le parole non scompaiono. Senza la
parola non si può estrarre nulla dal fondo. Io credo scomparirò.

A: Tu scomparirai come scomparirò io, nè più nè meno, e scompariranno anche tutte le altre donne
che sono chiuse qui dentro. Non bisogna farne un dramma. Non oggi. Oggi è un giorno fortunato.

A apre la cartina. Si sdraia prona, appoggia la mappa per terra e comincia a osservarla.

B: In quanto tempo sono scomparsi quei posti? Io non riesco a quantificare ... ci penso e ci
ripenso, ma non arrrivo ad alcuna conclusione. Poi non capisco se sono solo scomparsi gli
involucri, i nomi, i confini. E poi all'inizio della Rivoluzione è cambiato il dispositivo temporale,
sono scomparsi i giorni e le notti e le ore ... ed io davvero non sono ancora pratica della nuova
scansione. Dipendo da loro per sapere quando un giorno finisce. Aspetto l'annuncio del domani.

Silenzio.

A: Con il senno di poi, rimpiango di non aver viaggiato abbastanza.

Silenzio.

A: Sai, la vita prima era così distaccata dalla realtà, era filtrata da tutte quelle mediazioni, da tutti
quegli schermi, quei sensori, quelle fotocellule, quelle pillole.

B si alza in piedi sulla sedia, in punta di piedi, e con entrambe le braccia fa dondolare dolcemente il neon, ripetutamente.

B: Poco prima di oggi, cioè ieri, ho avuto una crisi, vero?

A: (guardando B) Sì. Ma i tuoi tremori migliorano.

Breve pausa.

A: Senti, ma perchè non abbiamo mai pensato di scappare? Una volta lo avrebbero fatto. Erano
quelle che si chiamavano rivolte, insurrezioni. Insomma, si reagiva perchè non si voleva più
subire.

B: Noi staimo subendo qualcosa?

A: Noi ci lasciamo trapassare dagli eventi e questi eventi non dipendono da noi.

B: Però forse siamo noi che permettiamo alle cose di essere così come sono. Ma scappare dove?

A: Scappare, andare via di qua. Uscire da questo posto, guardare con i nostri occhi le cose che lo
circondano. Troveremmo di sicuro un posto dove stare.

B: E lasciare tutto questo? Io non so se ... insomma, non credo sia una buona idea. E poi non l'ho
mai fatto. Forse non ne sono capace.

A: Di fare cosa?

B: Di scappare. Di cambiare le cose. Di rompere un equilibrio.


[...]

martedì 13 luglio 2010

Rianimazione.

... e se tutto fosse solo ospedale?

mercoledì 7 luglio 2010

Through the silence.

You must find yourself through the silence that no one cares.
Con questa frase inizia il racconto "Paroxetina".
Ieri sera ho trovato un vecchio scritto, eccolo.

E il silenzio menzionato è il buio dell'Assurdo. Come se il mondo d'un tratto si spegnesse, tutte le luci via ... sei solo, al buio e non vedi nulla. Senti solo con la mente e con le emozioni. Devi descrivere e immaginare, per sentirti vivo, devi cercare di non perdere contatto, devi ricordare. Ricordare per non dimenticare (Levi). Perché se oltre quel punto l'intero futuro dovesse essere buio, ricade su di te la responsabilità di onorare ciò che hai vissuto.
Bisogna portare a trionfo il silenzio del quale nessuno si preoccupa.
E per farlo devi prima creare il suo opposto, riascoltare il mondo quando c'era luce, vedere il movimento, la frenesia, la mediocrità; e poi soffermarti sugli interstizi che erano tesoro.
Devi dunque riprendere quel punto di vista particolare (sotto al tavolo) e osservare ciò che ti circonda, gli altri; capire quale momento è importante nella vasta gamma dei loro movimenti, quale meraviglia c'è dietro le loro spalle, quale umore li circonda senza che essi se ne accorgano. Ci sono immersi, ma non se ne accorgono.
Il punto dove il rumore è silenzio.
Il punto dove la danza non è movimento.
E' difficle, ma bisogna mettersi sotto al tavolo.
E' tutto qui, a disposizione, si sente nell'aria; bisogna solo ascoltare attentamente, sentire il Silenzio mentre nessuno se ne preoccupa.
E' così.

martedì 6 luglio 2010

Ricordi, #3.

Ricordo un temporale viola che mi colse sul vaporetto numero uno.
Ricordo quando andavo da sola a comprare le sigarette per mia madre dal tabaccaio della stazione dei treni.
Ricordo di aver conosciuto un ragazzo che si chiamava Gesù, sul treno diretto per Budapest.
Ricordo di aver urlato il nome di Teresa dalla strada verso una finestra che rimase sempre chiusa.
Ricordo di aver fatto l'amore in una camera d'albergo senza aver pagato la stanza.
Ricordo una volta che andai a pescare le trote in un lago artificiale.
Ricordo quando a sei anni dicevo, occhiomalocchioprezzemoloefinocchio.
Ricordo quella volta in Vespa, che cantai a squarciagola E va bene ti voglio di Mina.
Ricordo un fritto di mare che mi rimase sullo stomaco.
Ricordo quando vomitai i pochi chicchi di uva bianca appena ingeriti, camminando lungo una strada, costeggiando una siepe.
Ricordo quando scappò da Mazzé un cavallo e mio padre e altra gente lo inseguirono per la campagna in macchina.
Ricordo quando facevo gli incubi con le vipere, enormi e cattive.
Ricordo il tamarindo che mi dava mia nonna, illudendomi fosse il caffè dei piccoli.
Ricordo una delle prime sigarette fumate in solitaria, appena prima di entrare in palestra e allenarmi.
Ricordo di aver preparato un panino con la carne in scatola per Dario. E tanto altro.
Ricordo la cappella con il nome di mio nonno paterno.
Ricordo la gita al Col della Vacca e la Nord della Guille Rousse.
Ricordo una palla di plastica dura, con dentro un cavallino a dondolo e di tutto questo ricordo il suono che faceva la palla se la si faceva rotolare.
Ricordo il bagno in mare, di notte, che feci a Danostia.
Ricordo l'ultimo bagno in mare di notte che ho fatto, con la luna limpida nel cielo sopra di me.
Ricordo il lavoro di Garutti, mille lampadine che si accendono quando cade un fulmine da qualche parte.
Ricordo mia madre che mi dice che io non parlo. Eravamo sedute in macchina, nel parcheggio del supermercato.
Ricordo delle strane brioches, che si potevano fare in casa cuocendole nel forno. Era una sfoglia arrotolata intorno ad un tubo simile a quello dei rotoli della carta igienica.
Ricordo un vernissage a Modena e la bevuta che mi feci subito dopo.
Ricordo lo zucchero filato rosa.
Ricordo le pile di videocassette che c'erano in salotto affianco alla tv.
Ricordo una castagna raccolta chissà dove e che ancora conservo in una scatola chissà perché.
Ricordo quella volta che scappai da mio padre e andai a piangere nei bagni della stazione.
Ricordo un maglione bianco, con tre bottoni sulla spalla sinistra.
Ricordo me che piango attraversando a piedi una città.

lunedì 5 luglio 2010

Arcipelago.

Si prospetta una chiaccherata informale, quella di mercoledì 7, per la prima presentazione di "Paroxetina".
Ci sarà Elisabetta, che leggerà un racconto e alcuni pezzi (pezzi) di Paroxetina. Ci sarà Beppe, che dialogherà con me, che mi chiederà qualcosa. Ci sarò io, che risponderò se risponderò quando risponderò come risponderò.

è stato anche creato l'Evento su facebook, il faccialibro.
Io sono contenta. Si può dire?

Lì, al Museo diffuso della Resistenza, si respira proprio una bella aria. E' un ambiente piacevole, confortevole, rilassato.
Quindi, ecco, chi volesse venire mercoledì si presenti al museo, in corso Valdocco, nel porticato esterno, proprio all'entrata, alle 19:45.
Anche perchè, dopo la presentazione di Paroxetina, ci sarà un concerto, una bella "cantata popolare"...