giovedì 26 luglio 2012

Da un vecchio racconto.

Di mariti e mogli e di viaggi con i rispettivi ritorni.

Ma appena prima di spegnere la luce, alla sera, nella nostra camera da letto, non vorrei solo dirle Buonanotte Marie, ma anche dirle che ho bisogno che lei parli di me. Che si perda a decifrare i pori della mia pelle e come fosse codice, capisse i segni innumerevoli che ho accumulato e collezionato nel tempo, nel tempo lontano da lei. Che quel segno che ho sulla caviglia potesse farle nascere la curiosità di chiedermi cosa mi sia successo. Che guardandomi mi chiedesse, dolcemente, di parlare di me così che lei possa poi continuare lo stesso mio racconto dal suo punto di vista.
Buonanotte Marie.
Buonanotte, e mi abbraccia, da dietro, facendo aderire la sua pancia alla mia schiena. E io penso che forse la parola è la comunicazione errata, anche dopo un mese dal mio ritorno, e che mia moglie mi interroga molto più di quanto io possa immaginare e allora mi lascio addormentare con un senso di incomprensione, di sconfitta, di mancanza. Ancora non capisco il reale legame con Marie, penso, ancora non mi capacito della sua forza espressiva, ancora cerco àncora nella sicurezza dell'idioma, confondendo l'amore con la testimonianza. Eppure, eppure, eppure e mi addormento tra un dubbio e la sua mano sul mio petto.

sabato 21 luglio 2012

Polvere.

Pubblico il racconto con il quale ho partecipato al concorso indetto da Scrittori in città in collaborazione con Collisioni.
Tema: Senza fiato.
1800 battute.
Superate le selezioni, ho partecipato al Progetto Giovani di Collisioni, quest'anno tenutosi a Barolo.
(Festival meraviglioso, come sempre!)

Tutte quelle menate sul fumare non fumare, come dubbi amletici a ossessionare  un'intera vita ma poi alla fine son ridotto male comunque, allora tanto valeva fare quello che volevo. Che i miei polmoni son neri mica per le MS, son neri per le polveri che ho respirato in quel merdoso lavoro.
Sposto gli occhi e le immagini si accavallano, il bianco della stanza si confonde con il bianco dei medici e i fischi costanti e assordanti mi entrano nella pancia e mi fanno vibrare il diaframma e allora ricordo una storiella, dove i corpi diventano strumenti musicali loro stessi e forse questa mia fine è così,  forse mi sto trasformando in un'arpa o un tamburo e con tutta l'ironia di tutta la sorte sarò uno strumento muto fermo immobile, che non vibra, che non suona e sarà una vita a metà, come sempre è stata la mia in mezzo alla polvere nera che era sottile come talco e mica ci potevi fare qualcosa, per non respirarla, te la beccavi tutta, nelle narici, sul palato, sulla lingua,  e bevici sopra e soffiati il naso e sputa per terra ogni tanto, facendo uscire quei grumi neri che non sembravano nemmeno catarro, erano solo saliva e polvere, saliva e polvere e quando si usciva dalla galleria il sole cercava di dirti, ma ti vedi? ti rendi conto? però io solo lo ringraziavo, per la luce per il calore per un altro giorno tra la fotosintesi clorofilliana.
Mi vibra tutto, mi vibra la testa lo stomaco le orecchie il rumore dell'apparecchiatura è sempre più acuto e le palpebre mi si stanno chiudendo e come cazzo è possibile che nessuno mi sente, hei, mi sente? non si muovono le mie labbra non si muove la mia lingua non esce alito dalla mia fottutissima bocca , devo tossire devo respirare inspira espira inspira espira inspi       mi sembra d'essere là     non ho         aria          come        tromba         muta           .

mercoledì 11 luglio 2012

Di ritorno.

Solo il rumore della pendola. I secondi battuti con angosciante costanza.
Apro la porta perché il traffico entri tra queste mura. Poi una macchina svolta a sinistra e non passa più davanti a casa e allora è di nuovo silenzio.
Appoggio i piedi uno davanti all'altro andando a tempo con i secondi. Mi ritrovo a fare il giro del tavolo quasi correndo. Saltello. Come andavo sull'altalena. Manca un Dio a cui dedicare questa danza.
Prendo in mano il violino di mio nonno appoggio il mento pizzico le due corde rimaste e invento un ritmo tin ton tin ton ton ton tin.
C'è una stanza a duecentoventi euro vicino a Porta Nuova, una a duecentosessanta in Corso Giulio credo nel palazzo ristrutturato. Mica ho chiamato.
Mi son messa lo smalto rosso sulle unghie, invece di tagliarle.
Ho acceso e spento la radio, dopo aver ascoltato dieci minuti di trasmissione sugli antiossidanti.
Frutti di bosco e cavoli. Il sistema immunitario femminile è più attento e sensibile di quello maschile. Noi i sentimenti li facciamo uscire dai pori della pelle e dai tessuti organici.
Noi il sentimento lo trasformiamo in umore liquido.
Indosso lo scialle blu di lana ma dalla porta aperta non entra freddo.
Sembra abbia smesso di piovere.
Arriva il fischio del treno, sui binari Chivasso Ivrea Aosta.
Venderei l'argenteria, venderei la pendola, venderei la vita borghese di mio padre.
Ancora qualche secondo e poi berrò del Martini.

Un'estate fa.

L'anno scorso partivo per un lungo viaggio in Sud America.
Sono tornata in Italia a Pasqua, con l'idea di tornare laggiù al più presto. I programmi sono cambiati e l'esperienza sudamericana rimane una parentesi della mia vita.
Rieccomi dunque a casa.
E' una settimana che sono a Lisboa. Tra la sua luce del tramonto, tra il suo vento, tra le sue case piastrellate e i suoi vicoli.
Altra piccola parentesi, nello scorrere quotidiano delle mie giornate.
Devo scrivere, l'imperativo di questa attività mi mette in imbarazzo.
Qualcuno aspetta un mio romanzo, cosa assai improbabile. Non mi riesce di scriverlo, mi deludo ad ogni pagina.
Sento il bisogno di crescere, con la scrittura.
Futuro incerto. Pochi soldi. Alcune novità.
Voglio solo che questo blog continui ad essere incubatore di me stessa.