giovedì 23 dicembre 2010

Bodies.

Tim Hawkingson.
Kiki Smith.
Bruce Naumann.
Antonin Artaud.
Paul Theck.
Alice Neel.
Martin Kippenberger.
Mike Kelley.
Robert Gober.
Louise Bourgeois.
Antonio Lopez Garcia.
Lucian Freud.
Eva Hesse.
Paul Mc Carthy.
Cindy Sherman.
Erwin Wurm.

mercoledì 22 dicembre 2010

Atono. Il racconto.

Cerco la parola che esprima questa sensazione, questa situazione, questo stato di smobilitazione di ciò che mi circonda. Dopo una parentesi frapposta nei giorni diventati come simboli tipografici, torna il male. Otorinolaringoiatra: ne cerco uno perché mi operi alle corde vocali e mi faccia diventare muto. Senza parola, senza linguaggio, sospeso dalle responsabilità di risposta.
La verità quale è? E' che sono in piena recrudescenza. Nel mezzo dell'Europa, oltretutto. Su un treno azzurro e verde diretto a Wroclaw, appoggiato con la fronte al finestrino, permetto alle immagini che scorrono di impiastrarmi gli occhi di questo nero che copre ogni cosa. Come catrame depositato sui tetti dopo un'esplosione, uno spiaggiamento, una guerra. Nel mio stesso scompartimento una ragazza bionda sfoglia una rivista dalle pagine sottilissime simili a carta velina e mi vengono in mente le mani di mia nonna e poi dei fiori.
Guardo le occhiaie della ragazza. Sono verdi.
La decisione di non parlare è recente. Sono in viaggio da sei giorni e da sei giorni non parlo. Fossi un bambino si tratterebbe di mutismo selettivo, ma visto che di anni ne ho ventisette è da escludersi. Il principio invariabilmente rimane lo stesso. Io parlo solo con chi voglio. Io non voglio parlare con nessuno.
Di questo Paese non ne capisco l'idioma. E' una condizione ottimale per il mio intento di mutismo.
C'è un incipiente disegno che sta venendo fuori dalle strade che percorro, come un ricamo sulla cartina politica del centro Europa. Non so ancora quale forma avrà, quale sinuosità o linea spezzata modellerà, ma la genesi è avvenuta e nulla può ormai arrestarla. Anche da questo treno sto disegnando, chilometri di persistente intimo silenzio tratteggiati con una matita morbida, dalla grafite grassa, spessa, di lucentezza metallica.
Ho appoggiato questa matita sul territorio europeo in corrispondenza di Venezia, su cui mi sono soffermato accanendomi a disegnare un piccolo cerchiolino, sempre uguale, con la punta a milinare sulla propria stessa grafite, come volesse bucare la carta. Sarà che a Venezia si rimane bloccati a girare su se stessi, a percorrere le fondamenta che delimitano l'isola come la tigre che nervosa cammina avanti e indietro lungo le inferriate della gabbia. Circumnavighi quel pesce che sta affondando, passi di sestiere in sestiere e ti ritrovi sempre al punto di partenza. Venezia è silenziosa. L'unico rumore prepotente è il motore dei vaporetti.
Un trattato dell'Ottocento parla del ritmo come di un gesto che si sente. Il battito del mio cuore, i miei piedi uno di seguito all'altro, le mie mani che applaudono. Organizzazione del tempo. Un diptero. La parola pronunciata non mi serve più. Ho il mio corpo, ho lo spazio, ho il tempo. Sono pieno di suoni.
Torno a guardare le occhiaie della ragazza. Mi chiedo se lei è abituata a tutto questo bitume che unguenta il paesaggio polacco.
Immaginifico paesaggio immateriale. Emulsione opalescente. Sbiadita. Passata. Finita.
Me ne dovrò fare una ragione.
Nicchio in falsità, in illusioni, in omissioni. Il tempo passa ma non lenisce. Il tempo passerà e io troverò il vero, alla fine, ad un certo punto. Sarà una realtà inasprita e sarò stato io a inacidirla, avrò esacerbato il mio quotidiano con certosino lavoro. Succo gastrico come aria da respirare. Limoni spremuti su letti ancora caldi di umori. Ulcere. Erosioni. Lacerazioni. Escerbazioni.
Quando ti ho vista su quel letto ho perso il punto d'appoggio.
Sfrenata danza di corpi a me estranei se non il tuo. Il tuo corpo, che così bene conoscevo e amavo. Se ci deve essere un senso per la parola intimità, quel senso è sparito nei miei occhi ed è stato risucchiato dalla retina. Al rovescio, senza rielaborazione cerebrale, il senso è decaduto comunque.
Cosa ci facevi in mezzo a quei corpi maschili? Tu, unica donna? Cosa facevi? Cosa stavi capendo?
Ho scostato la porta, sentivo del brusio, del sussurrio, ho pensato a dei gatti non so perché.
Eri stesa sul letto. A pancia in su. Eri nuda, con il reggiseno nero appena sotto i seni. Una mano appoggiata sullo sterno clavicolare, le dita molli e abbandonate nell'immobilità. E il tuo viso, riverso di lato, con gli occhi chiusi.
Cosa potevo capire?
Intorno a te quegli uomini con bottiglie di gin in mano e tu via, già lontana dopo essere stata fin troppo presente, tra le loro cosce, con le gambe aperte e il rivolo di sangue che ti usciva da dove? da dove?
Amore, io non ho fatto niente. Non ti sono venuto in soccorso, ti ho solo odiata. Amore ti odio.
Guardo ancora una volta le occhiaie della ragazza che mi sta seduta di fronte e vedo al posto suo te, adesso. Stavo già male e continuo a stare male e le occhiaie che tu portavi indosso l'ultima volta che ti ho vista erano forse come queste, di occhiaie, verdi, tristi, affamate.
Scappare non potevo, subito. Quelle solite mura invisibili intorno alla nostra città, Venezia, paese piccolo e enorme, e io come allucinato a cercare di buttarmi in laguna sperando di essere assorbito dalle acque putride, con il pensiero rivolto a te che ti sei offerta al mio sguardo in un modo tutto nuovo e orrendo.
Cosa è successo?
C'era quel maledetto silenzio, un'alba annichilita piena di postumi di orgia e di movimenti ficcanti.
Sarei salpato dalla Punta della Dogana, lasciando la mia àncora in mezzo alle tue cosce, insieme agli arpioni di tutti quegli altri uomini. Ed è violenza, è stata violenza, sarà violenza.
Ripongo il mio essere nella possibilità di questo treno.
Atono, mi nascondo.
Non abbiamo neanche potuto piangerne insieme.

martedì 21 dicembre 2010

Atono.

Frammento di nuovo racconto.

[...]
C'è un incipiente disegno che sta venendo fuori dalle strade che percorro, come un ricamo sulla cartina politica del centro Europa. Non so ancora quale forma avrà, quale sinuosità o linea spezzata modellerà, ma la genesi è avvenuta e nulla può ormai arrestarla. Anche da questo treno sto disegnando, chilometri di persistente intimo silenzio tratteggiati con una matita morbida, dalla grafite grassa, spessa, di lucentezza metallica.
Ho appoggiato questa matita sul territorio europeo in corrispondenza di Venezia, su cui mi sono soffermato accanendomi a disegnare un piccolo cerchiolino, sempre uguale, con la punta a mulinare sulla propria stessa grafite, come volesse bucare la carta. Sarà che a Venezia si rimane bloccati a girare su se stessi, a percorrere le fondamenta che delimitano l'isola come la tigre che nervosa cammina avanti e indietro lungo le inferriate della gabbia. Circumnavighi quel pesce che sta affondando, passi di sestiere in sestiere e ti ritrovi sempre al punto di partenza.
Venezia è silenziosa. L'unico rumore prepotente è il motore dei vaporetti.
Un trattato dell'Ottocento parla del ritmo come di un gesto che si sente. Il battito del mio cuore, i miei piedi uno di seguito all'altro, le mie mani che applaudono. Organizzazione del tempo. Un diptero. La parola pronunciata non mi serve più. Ho il mio corpo, ho lo spazio, ho il tempo. Sono pieno di suoni.
Torno a guardare le occhiaie della ragazza. Mi chiedo se lei è abituata a tutto questo bitume che unguenta il paesaggio polacco.
Immaginifico paesaggio immateriale. Emulsione opalescente. Sbiadita. Passata. Finita.
Me ne dovrò fare una ragione.
[...]

venerdì 17 dicembre 2010

Suedehead lyrycs.

Un certo Morrissey, che nacque un 22 maggio di tanti anni fa.
E che pare fosse la voce di un certo gruppo inglese.
E che scrisse e cantò anche da solista.


Why do you come here?
And why do you hang around?
I'm so sorry
I'm so sorry

Why do you come here
When you know it makes things hard for me?
When you know, oh
Why do you come?
Why do you telephone? (Hmm...)
And why send me silly notes?
I'm so sorry
I'm so sorry

Why do you come here
When you know it makes things hard for me?
When you know, oh
Why do you come?
You had to sneak into my room
'just' to read my diary
"it was just to see, just to see"
(All the things you knew I'd written about you...)
Oh, so many illustrations
Oh, but
I'm so very sickened
Oh, I am so sickened now

........Oh, it was a good lay, good lay
It was a good lay, good lay.........


I am so sorry.

martedì 14 dicembre 2010

Numeri.

"I conteggi si fanno quando non si ha nulla di meglio da fare, diceva un letterato d'altri tempi. Un uomo con baffi lunghi e biondi. Io di cose migliori ne avrei da fare, ma le rimando."
E' una delle prime affermazioni di Eloise, un personaggio della mia raccolta di racconti.
Mi riprendo questa frase e anche il letterato baffuto e inizio a fare qualche calcolo.

Se adesso fosse il 22 dicembre, io avrei vissuto 9.700 giorni, ma visto che è il 14 dicembre, di giorni ne ho vissuti 9.692
Le ore totali della mia vita sono 232.608
67.858 le ore che ho passato a dormire, con una media di 7 ore di sonno al dì
e quindi sono 164.750 le ore che ho passato da sveglia.
Da quando ho iniziato a fumare, ho fumato in media 5 sigarette al giorno per un totale di 16.425 sigarette.
Ho grossomodo fatto la pipì 4 volte al giorno, per un totale di 38.768 pipì.
Ho bevuto qualcosa come 6.570 caffé.
Ho fatto all'incirca 410 lavatrici.
Sono stata in una palestra (a giocare a pallavolo) per 7.300 ore, ma credo di aver tralasciato sicuramente qualche allenamento.
39.000 le ore approssimative che ho trascorso a scuola (elementari, medie, superiori, università).
Facendo partire il calcolo dai miei 10 anni, tenendo conto di fattori che non sto qui a dire, penso di aver letto 580 libri, ma arrotonderei a 500, che mi fa già un gran effetto.


Adesso, sto meglio.
Aspetto mi venga la voglia di calcolare qualche altra cosa.
Intanto, vado a fare qualcosa di meglio e lascio riposare il signor letterato, che insieme ad Eloise mi ha tenuto compagnia anche questa volta.

Secondo concerto per pianoforte e orchestra di S. Rachmaninov. Sua esecuzione.

sabato 4 dicembre 2010

Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin

Meno quindici.
L'acqua che si ghiaccia nelle tubature.
Il cielo blu. La neve bianca accecante.
So che dovrei scrivere qualcosa, adesso, ma solo ascolto musica e cerco di scaldarmi i piedi.

'a çimma.