martedì 21 dicembre 2010

Atono.

Frammento di nuovo racconto.

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C'è un incipiente disegno che sta venendo fuori dalle strade che percorro, come un ricamo sulla cartina politica del centro Europa. Non so ancora quale forma avrà, quale sinuosità o linea spezzata modellerà, ma la genesi è avvenuta e nulla può ormai arrestarla. Anche da questo treno sto disegnando, chilometri di persistente intimo silenzio tratteggiati con una matita morbida, dalla grafite grassa, spessa, di lucentezza metallica.
Ho appoggiato questa matita sul territorio europeo in corrispondenza di Venezia, su cui mi sono soffermato accanendomi a disegnare un piccolo cerchiolino, sempre uguale, con la punta a mulinare sulla propria stessa grafite, come volesse bucare la carta. Sarà che a Venezia si rimane bloccati a girare su se stessi, a percorrere le fondamenta che delimitano l'isola come la tigre che nervosa cammina avanti e indietro lungo le inferriate della gabbia. Circumnavighi quel pesce che sta affondando, passi di sestiere in sestiere e ti ritrovi sempre al punto di partenza.
Venezia è silenziosa. L'unico rumore prepotente è il motore dei vaporetti.
Un trattato dell'Ottocento parla del ritmo come di un gesto che si sente. Il battito del mio cuore, i miei piedi uno di seguito all'altro, le mie mani che applaudono. Organizzazione del tempo. Un diptero. La parola pronunciata non mi serve più. Ho il mio corpo, ho lo spazio, ho il tempo. Sono pieno di suoni.
Torno a guardare le occhiaie della ragazza. Mi chiedo se lei è abituata a tutto questo bitume che unguenta il paesaggio polacco.
Immaginifico paesaggio immateriale. Emulsione opalescente. Sbiadita. Passata. Finita.
Me ne dovrò fare una ragione.
[...]

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